Schizofrenia sotto controllo in quattro mosse. “Cure innovative e assistenza: guarire oggi si può”

26 Gen 2018

Questi nuovi approcci, che includono sia trattamenti farmacologici (come i farmaci long-acting) che interventi psicosociali, hanno consentito di ridurre in maniera sostanziale l’impatto a lungo termine della schizofrenia sulla vita della persona. Infatti, con adeguate strategie terapeutiche, oggi la guarigione dalla schizofrenia è ritenuta possibile. Se ne parla al congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria Sociale, che si apre oggi a Napoli.

Interventi psicoeducativi familiari e di social skills training; psicoterapia cognitivo-comportamentale e cognitive remediation. Sono questi i quattro punti chiave per affrontare le problematiche di chi soffre di schizofrenia, un disturbo mentale grave, caratterizzato da un esordio acuto o insidioso, che si manifesta spesso in giovane età, con un tasso di mortalità di 2,5 volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale, con un rischio di suicidio intorno al 10%. La schizofrenia colpisce 1 persona su 100 e si stima che in Italia circa 300 mila persone siano affette da questo disturbo, per un costo complessivo di 2,7 miliardi di euro, pari a circa il 2,3% dell’intera spesa sanitaria. Un impatto economico dovuto sia ai costi diretti, cioè i costi legati alle cure, ai ricoveri e ai servizi residenziali offerti, che a quelli indiretti, tra cui la perdita di produttività dei pazienti e dei loro familiari.

Ma con i nuovi approcci terapeutici si potrebbero risparmiare almeno 90 milioni di euro in 5 anni. Approcci che includono sia trattamenti farmacologici (come i farmaci long-acting) che interventi psicosociali, e che consentono di ridurre in maniera sostanziale l’impatto a lungo termine della schizofrenia sulla vita della persona. Infatti, se vengono adottate adeguate strategie terapeutiche, oggi la guarigione dalla schizofrenia è ritenuta possibile.

Lo dimostrano i risultati del recente studio multicentrico del Network Italiano per la Ricerca sulle Psicosi, coordinato da Mario Maj del Primo Policlinico Universitario di Napoli, pubblicati su World Psychiatry. Ulteriori dati sono in attesa di pubblicazione su Jama Psychiatry. La cura e la gestione della schizofrenia è uno degli argomenti al centro dei lavori del congresso nazionale della Società Italiana di Psichiatria Sociale, che si apre oggi a Napoli, dal titolo “Le nuove frontiere della psichiatria sociale: clinica, public health e neuroscienze”.

“Negli ultimi anni – spiega Andrea Fiorillo, professore associato di Psichiatria all’Università Vanvitelli di Napoli e responsabile scientifico del Congresso – sono stati oggetto di studio alcuni approcci psicosociali volti a migliorare gli stili di vita dei pazienti con schizofrenia, da affiancare alla terapia farmacologica. Infatti, sebbene il trattamento dei disturbi psicotici sia di gran lunga migliorato con l’introduzione dei farmaci antipsicotici di prima e di seconda generazione, alcuni sintomi della schizofrenia sono resistenti al trattamento farmacologico e necessitano di terapie psicosociali in associazione. Si tratta di interventi psicoeducativi familiari; di interventi di social skills training; di psicoterapia cognitivo-comportamentale e di cognitive remediation”.

“Ma vediamoli nel dettaglio. Ad esempio – continua Fiorillo –  la psicoterapia cognitivo-comportamentale (un approccio nato tra gli anni Sessanta e Settanta partendo dalle teorie comportamentali di Pavlov e dalla valutazione di pensieri, emozioni e memorie del paziente) riduce l’intensità dei sintomi psicotici persistenti quando associata alla terapia farmacologica. L’intervento psicoeducativo familiare è la terapia psicosociale più efficace per ridurre il numero e la durata dei ricoveri dei pazienti con schizofrenia, e si è dimostrato efficace anche nel migliorare il clima familiare e la qualità di vita di tutto il nucleo familiare”.

Inoltre, in molti pazienti con schizofrenia, la riduzione della qualità di vita e del funzionamento psicosociale è dovuta anche alla persistenza di sintomi quali mancanza di interessi e di piacere, tristezza e scarsa autostima. “L’intervento di social skills training – aggiunge Fiorillo – tende a migliorare le prestazioni sociali del paziente tramite l’identificazione e la risoluzione dei problemi della vita quotidiana (ad esempio, problemi sul lavoro, nelle relazioni sociali o in quelle affettive). La cognitive remediation, o terapia di rimedio cognitivo, ha come obiettivo il miglioramento dei processi cognitivi (attenzione, memoria, funzioni esecutive, intelligenza sociale e metacognizione), che sono frequentemente compromessi nei pazienti con schizofrenia”.

Il deficit neurocognitivo e l’aumento della mortalità
Come dimostrato dai risultati del recente studio multicentrico del Network Italiano per la Ricerca sulle Psicosi, coordinato da Maj, la presenza di deficit neurocognitivi rappresenta il fattore che influenza maggiormente il funzionamento sociale dei pazienti con schizofrenia nella vita reale. Non bisogna dimenticare inoltre che, secondo stime recenti, i pazienti con schizofrenia hanno un’aspettativa di vita di circa 20 anni inferiore rispetto alla popolazione generale.

“Questa mortalità precoce – spiega ancora Fiorillo – è dovuta all’interazione di vari fattori sociali, individuali e legati alla patologia in sé. Tra questi, un ruolo fondamentale è svolto dagli stili di vita non salutari, come il tabagismo, l’obesità, una vita sedentaria, l’abuso di alcool o droghe, i comportamenti sessuali promiscui. Pertanto, per fronteggiare il maggiore tasso di mortalità dei pazienti con schizofrenia, il Dipartimento di Psichiatria dell’Università della Campania “Luigi Vanvitelli”, diretto da Mario Maj, sta attualmente coordinando un progetto multicentrico volto a sviluppare e validare un nuovo intervento psicoeducazionale di gruppo orientato per migliorare gli stili di vita non salutari dei pazienti e migliorarne l’aspettativa di vita”.

Purtroppo, questi interventi (benché di provata efficacia) sono disponibili solo raramente nei servizi di salute mentale italiani. Un trattamento integrato, che includa interventi farmacologici e psicosociali, è applicato solo in meno del 30% dei pazienti e, nella maggior parte dei casi, consiste in interventi non personalizzati sulla base dei bisogni espressi dai singoli pazienti.

Da QS

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