Feste in casa: crediamo di poter chiudere la porta al Covid

12 Ott 2020
Fonte: https://www.huffingtonpost.it/entry/claudio-mencacci-continuiamo-a-organizzare-feste-perche-luntore-e-sempre-laltro-ma-ci-sbagliamo_it_5f80407ac5b664e5babc3dd3 

“Sottovalutiamo feste e incontri in casa, crediamo di poter chiudere la porta al Covid”

Il 77% dei focolai si verificano in famiglia. Claudio Mencacci, psichiatra, presidente della Società italiana di Neuropsicofarmacologia, direttore del Dipartimento Neuroscienze e Salute mentale Dipendenze dell’Azienda S.S.T. Fatebenefratelli – Sacco di Milano, spiega: “C’è la sensazione che l’untore sia sempre l’altro, sia fuori dalla nostra ‘bolla’. Così finiamo per esporre di più al rischio proprio le persone a cui vogliamo bene

L’ultimo report dell’Istituto superiore di sanità rivela che la maggior parte dei focolai si verifica in ambito domiciliare, circa il 77% del totale. “Abbiamo la sensazione che l’untore sia sempre l’altro, che non siamo noi, che non sia il nostro parente o il nostro amico stretto o quel collega di lavoro che ci sta tanto simpatico. Crediamo che l’untore sia fuori dalla nostra ‘bolla’. Ma ci sbagliamo”: a parlare ad HuffPost è Claudio Mencacci, medico psichiatra, Presidente della Società Italiana di Neuropsicofarmacologia e Past President della Società Italiana di Psichiatria. Il professore riflette sui matrimoni, sulle feste di compleanno, sui party privati che non si fermano, nonostante l’aumento dei contagi: “C’è l’idea che una volta chiusa la porta di casa, si possa chiudere fuori anche il Covid. Non è così. Paradossalmente, tendiamo ad esporci al rischio proprio con le persone a cui vogliamo bene, perché pensiamo che non possano farci del male. E che noi non potremmo mai farlo a loro”.

Mencacci prova a spiegare cosa accade nella nostra mente. Cosa ci spinge ad organizzare una festa in famiglia “a cuor leggero”, cosa ci induce – proprio mentre siamo lì tranquilli a bere un cocktail al compleanno del nostro migliore amico – a considerare il pericolo del Covid lontano. Anzi, lontanissimo.

Esponiamo al pericolo le persone che conosciamo. Sembra strano, ma è così. Questo perché il nostro cervello sociale tende a selezionare le persone per amicizia, professionalità, condivisione di idee e di valori, di una fede che sia sportiva o religiosa. Una volta fatta questa ‘cernita’, il gruppo selezionato entra a far parte di un segmento di persone che riteniamo – erroneamente – ‘non pericolose’. Con loro viene meno quell’attenzione prudenziale che avremmo con altri. Si annulla la distanza e tutte le norme precauzionali possono venire meno. Semplicemente l’affetto che proviamo nei loro confronti, l’affinità ci inganna: pensiamo di far parte della stessa ‘tribù’, pensiamo di non essere pericolosi per loro e che loro non lo siano per noi”.

Come fare, dunque, a tenere lontane le persone che ci sono più vicine? Per lo psichiatra, è necessario imparare a gestire meglio la propria affettività, “sapendo che quel distanziamento è un atto d’amore e di rispetto per l’altro, e che non è un gesto di freddezza o di distanza emotiva, come ci verrebbe spontaneo pensare. E facendo un salto mentale. Tutti, nessuno escluso”.

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