Antidepressivi in gravidanza: chi già li assume non dovrebbe sospenderli

18 Dic 2015

Dai risultati di uno studio pubblicato su Jama Pediatrics emerge un aumento del rischio di sviluppare disturbi dello spettro autistico (Asd) nei nati da madri che in gravidanza hanno assunto antidepressivi, in particolare inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (Ssri). Gli antidepressivi sono ampiamente usati dalle gestanti contro la depressione, ma pochi avevano finora indagato l’effetto della terapia materna sul rischio nella prole di sviluppare disturbi dello spettro autistico, una sindrome caratterizzata da alterazioni della comunicazione e dell’interazione sociale nonché da interessi e comportamenti stereotipati e ripetitivi. «Una migliore comprensione degli effetti sullo sviluppo neurologico a lungo termine dei bambini di madri trattate con antidepressivi in gestazione è una priorità di sanità pubblica» esordisce Anick Bérard dell’Università di Montreal, in Canada, che con i coautori ha analizzato le gravidanze e i nuovi nati in Québec tra gennaio 1998 e dicembre 2009 identificando 145.456 bambini nati da parti singoli a termine, di cui lo 0,72% aveva una diagnosi di disturbo dello spettro autistico.

«L’età media al momento del riscontro diagnostico e al termine del follow-up era rispettivamente di 4,6 e 6,2 anni, e i maschi superavano le femmine di 4 a 1» scrivono i ricercatori, spiegando che il 3,2% dei neonati è stato esposto in utero ad antidepressivi materni; di questi, l’88,9% è stato esposto nel primo trimestre e il 53,6% durante gli ultimi sei mesi. «A conti fatti, l’1,2% degli esposti agli antidepressivi nel secondo e/o terzo trimestre aveva una diagnosi di disturbo dello spettro autistico, come anche l’1% degli esposti nei primi tre mesi» riprende Bérard, spiegando che l’uso di antidepressivi negli ultimi sei mesi di gestazione si associa a un aumento dell’87% del rischio di disturbi dello spettro autistico, mentre non emergono legami con gli antidepressivi assunti nei primi tre mesi di gravidanza o prima del concepimento. I dati raccolti indicano inoltre un rischio elevato con gli Ssri, ossia 22 neonati esposti con disturbi dello spettro autistico, e probabilità più ridotte con altri antidepressivi: 5 neonati esposti con disturbi dello spettro autistico; in entrambi i casi, tuttavia, il rischio aumenta nei nati da madri già depresse prima della gravidanza che hanno usato antidepressivi negli ultimi due trimestri. «La serotonina è un neurotrasmettitore chiave nello sviluppo neurologico e tutto ciò che influenza il sistema serotoninergico in gestazione potrebbe, potenzialmente, aumentare il rischio di alterazioni del neurosviluppo, che si tratti sia di farmaci sia di condizioni patologiche» precisano i ricercatori, sottolineando i rischi che la stessa depressione in gravidanza può comportare per il feto. Affermazione che concorda con quanto emerso da uno studio dell’agosto 2014 coordinato da Roy Perlis, Dipartimento di psichiatria del Massachusetts General Hospital di Boston e pubblicato su Molecular Psychiatry, che indicava nella depressione materna un fattore di rischio di disturbi dello spettro autistico nella prole. Gli autori hanno analizzato i dati di migliaia di bambini affetti da disturbi dello spettro autistico o Adhd, il deficit di attenzione/Iperattività, confrontandoli con quelli di altrettanti bambini senza disturbi. I risultati iniziali suggerivano un aumento del rischio di disturbi dello spettro autistico e Adhd nella prole legato all’assunzione di antidepressivi in gravidanza, ma dopo averli corretti per la gravità della depressione materna il collegamento non era più significativo.

«Conclusioni che evidenziano l’importanza di proseguire anche in gravidanza la cura della depressione, che può causare prematurità, basso peso alla nascita, preeclampsia, depressione post partum e comportamenti suicidari» osserva Perlis. «Dato il moltiplicarsi dei fattori di rischio in utero per disturbi dello spettro autistico non ha più molto senso suggerire di evitare gli antidepressivi o di interromperli se già si usano. È probabile che in futuro la crescente complessità delle interazioni fra fattori di rischio ci indurrà sempre più a non fare affermazioni categoriche su ciò che è bene o male, senza pensare anche alle vie di mezzo» conclude in un editoriale Bryan King del Children’s Hospital di Seattle, nello stato di Washington.

Jama Pediatrics 2015. doi:10.1001/jamapediatrics.2015.3356
http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamapediatrics.2015.3356

Jama Pediatrics 2015. doi:10.1001/jamapediatrics.2015.3493
http://archpedi.jamanetwork.com/article.aspx?doi=10.1001/jamapediatrics.2015.3493

Da Doctor33

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