Alzheimer. Messo a punto negli Usa un “calcolatore” che valuta il rischio di ammalarsi

22 Mar 2017

E’ uno strumento costruito sui dati genetici attinti da enormi coorti di pazienti con Alzheimer e cesellato sul confronto con grandi popolazioni che invecchiano in salute. Uno score di rischio prezioso per la pratica clinica del futuro (entro il 2050 saranno oltre 131 milioni le persone con demenza nel mondo), ma anche per disegnare trial clinici sulle nuove terapie in sperimentazione per questa condizione

Un calcolatore di rischio basato su dati genetici per stabilire il rischio che una persona ha di sviluppare il morbo di Alzheimer. E’ la proposta che arriva da una ricerca appena pubblicata su PLOS Medicine a firma di Rahul Desikan, dell’Università della California di San Francisco.

La sua ‘creatura’ si chiama PHS, acronimo di Polygenic Hazard Score, ed è stata messa a punto utilizzando i dati dei genotipi di tre grandi coorti, comprendenti oltre 70 mila persone, sia sane che affetti da morbo di Alzheimer.

I ricercatori californiani hanno individuato delle varianti genetiche associate con il morbo di Alzheimer, attingendo ai dati dell’International Genomics of Alzheimer’s Project (oltre 17 mila casi di Alzheimer e 37.154 controlli). In seguito hanno utilizzato queste varianti patologiche per realizzare il PHS con i dati di altri 6.409 pazienti con Alzheimer e 9.386 controlli nella fase 1 dell’Alzheimer’s Disease Genetics Consortium (ADGC).

Mettendo insieme i tassi di incidenza relativi alla popolazione generale e il PHS basato sul genotipo di ogni singolo individuo, i ricercatori hanno ottenuto delle stime del rischio di sviluppare morbo di Alzheimer, basate su età e genotipo.

Il PHS è stato quindi testato in coorti indipendenti della fase 2 dell’ADGC, del National Institute on Aging Alzheimer’s Disease Center e dell’Alzheimer’s Disease Neuroimaging Initiative (per un totale di 20.680 partecipanti).

I soggetti che totalizzano il punteggio più alto al PHS, sviluppava l’Alzheimer con un anticipo di dieci anni rispetto all’età prevista e soprattutto presentano un rischio diverse volte superiore di sviluppare la malattia rispetto ai soggetti con il punteggio PHS più basso. Il punteggio PHS, in tutte le coorti, si è dimostrato in grado di predire l’età di comparsa dell’Alzheimer e la progressione da invecchiamento fisiologico al morbo di Alzheimer. I punteggi più elevati risultano inoltre ben correlati sia ai biomarcatori che al quadro di. neurodegenerazione tipico dell’Alzheimer

Secondo gli autori uno strumento ben affilato come il PHS sarebbe di grande utilità per la gestione clinica dell’Alzheimer e per il disegno dei trial clinici su questa patologia. Tuttavia, e sono loro stessi a mettere in guardia su questo punto, il PHS ha bisogno di essere ulteriormente validato in maniera prospettica, utilizzando coorti basate su diverse popolazioni prima di poterlo introdurre nella routine della pratica clinica.

Secondo stime dell’Alzheimer’s Disease International (ADI) entro il 2050 ci saranno nel mondo 131,5 milioni di persone affette da demenza, con un carico che si andrà probabilmente a spostare dalle nazioni più ricche a quelle più a basso income. Anche per questo è fondamentale ampliare le conoscenze su questa malattia, secondo una prospettiva globale. PLOS Medicine dedica un numero speciale che si arricchirà di articoli per tutto il mese di marzo alle ricerche sulla demenza. Il lavoro della University of California è uno di questi ed è stato realizzato grazie ad una serie di importanti grant, tra i quali quello dei National Institutes of Health.

Maria Rita Montebelli

Da QS

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