Aborto. In Lombardia la RU486 è un miraggio. Utilizzo fermo al 4,5%, ben al di sotto delle altre Regioni. Allarme vendita abortivi online

13 Nov 2015

Presentati i dati di un’indagine condotta dal Pd Lombardia. Nella Regione il 69,4% dei medici è obiettore, con punte tra l’80 e il 99% in 12 ospedali e del 100% in altri 7. La percentuale di Ivg praticate con la RU486 al 4,5% a fronte del  30,5% della Liguria,  del 27% della Valle d’Aosta, del 23,3% del Piemonte. E così: “Sempre più siti web vendono online farmaci per l’interruzione di gravidanza  rischiosissimi per la salute”.

“Arretrata”. È così che la vicepresidente del Consiglio regionale lombardo, Sara Valmaggi, e il capogruppo del Pd, Enrico Brambilla, definiscono la Lombardia quando si parla di legge 194, interruzione volontaria di gravidanza e Ru486. E per denunciare la situazione, Valmaggi e Brambilla hanno chiamato a raccolta la stampa presentando i dati di una indagine condotta dal gruppo regionale del Pd sull’attuazione della legge 194. Uno studio che si incrocia con la Relazione di attuazione della legge 194/78, presentata nei giorni scorsi dal ministero della Salute e che conferma le difficoltà della Lombardia su questa importante questione. Dalla relazione del ministero emerge infatti la costante diminuzione del ricorso all’interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) da parte delle donne, “il che – secondo Brambilla e Valmaggi – conferma che la legge 194, che data oramai 37 anni, è ancora efficace nel raggiungere l’obiettivo per cui era nata”. Nel 2014 infatti, per la prima volta in Italia, gli aborti sono stati meno di  100mila (97.535) con una riduzione del 60% rispetto alle 234.801 del 1982, anno in cui si era riscontrato il valore più alto. Tuttavia il dato non è altrettanto positivo in Lombardia. Qui le Ivg sono state 15.912, il 5,2% in meno dell’anno precedente, con un decremento minore di quello di altre 15 regioni: Valle d’Aosta -17,5%; Umbria -11,2%; Marche -10,2%; Emilia Romagna -7,5%; Veneto –7,3%; Piemonte -7,1% (vedi grafico 1 ).

“Numeri che fanno riflettere – affermano i due consiglieri del Pd -, anche perché la Lombardia è l’unica Regione che finanzia una misura economica di sostegno alle donne  che rinunciano all’Ivg, il Nasko”. “Una misura- sottolinea Valmaggi – che dovrebbe avere come obiettivo quello di ridurre il ricorso all’aborto ma evidentemente non è efficace e come tale dovrebbe essere ripensata. Così come dovrebbe essere rivista la scelta della giunta di limitare l’accesso al contributo alle donne straniere che risiedono da almeno 2 anni nella nostra regione. Una scelta certamente ideologica ma soprattutto miope”. Sono proprio le donne straniere quelle che, in percentuale, ricorrono  di più all’Ivg. Nel 2013 il 41.4%, ( per un totale di 6913) delle interruzioni di gravidanza sono effettuate da donne straniere, a fronte di un ovvia presenza minoritaria sul totale delle popolazione femminile. Le italiane che hanno fatto ricorso all’Ivg sono state 9765.

I consiglieri sottolineano quindi come molte regioni abbiano aderito al progetto promosso e finanziato dal ministero della Salute sulla prevenzione dell’aborto tra le donne straniere tramite la diffusione di  buone pratiche (formazione degli operatori, potenziamento dell’organizzazione dei servizi per favorire l’accessibilità, promozione di una capillare informazione nelle comunità immigrate). “Non così la Lombardia che,  nonostante le reiterate richieste del Pd, ha scelto di non aderire al progetto”.

Obiezione di coscienza. E’ record tra i medici. Il ricorso al personale esterno è costato 255.556 euro in un anno
L’indagine del Pd ha scavato a fondo, chiedendo a ogni presidio della regione i dati relativi all’attuazione della legge 194. “Dai dati emerge che per l’obiezione di coscienza in Lombardia nulla è cambiato: sia con Formigoni che con Maroni per le donne che decidono di ricorrere all’Ivg le difficoltà sono le stesse”. Alta anche la percentuale dei ginecologi obiettori è del 69,4 %. In 7 ospedali lo è la totalità (Calcinate, Iseo, Gavardo, Oglio Po, Melzo, Broni-Stradella e Gallarate). In 12 ospedali la percentuale di obiezione è tra l’80% e il 99% (per esempio Fatebenefratelli e Niguarda di Milano) e solo in 8 strutture è inferiore al 50% (vedi Tabella 1 con dati presidio per presidio).

Per sopperire alla mancanza di medici le Aziende ospedaliere sono costrette a ricorrere a personale esterno,” medici gettonisti, chiamati solo per questi interventi, il cui costo nel 2014 è stato di 255.556 euro. Ma non solo”, denunciano Valmaggi e Brambilla. “Per l’alto numero di obiettori e il modello di organizzazione ospedaliera che non favorisce le donne che scelgono di abortire i tempi di attesa si allungano. I dati della  relazione ministeriale evidenziano che  la Lombardia è sedicesima per i tempi di attesa tra la certificazione e la data dell’intervento. Questo anche perché solo il 65% delle strutture che hanno un  reparto di ginecologia e ostetricia effettua Ivg”.

“C’è – afferma Valmaggi – una chiara pregiudiziale ideologica che non è cambiata con la giunta Maroni. Noi, da parte nostra,,chiediamo di attuare  la legge 194 in tutte le sue parti, imponendo la mobilità del personale nelle strutture pubbliche e obbligando quelle private accreditate a garantire  la possibilità di effettuare l’ivg,, Ad oggi nessuna lo fa”.

RU486: Lombardia fanalino di coda in Italia. Utilizzo fermo al 4,5%
L’indagine condotta dal Pd si è occupata anche della RU486. A ciascun presidio, oltre ai numeri dell’obiezione di coscienza,  sono stati chiesti i dati sull’utilizzo del metodo farmacologico, autorizzato dall’Aifa nel 2009. A sei anni dalla sua introduzione i numeri evidenziano “l’arretratezza della Lombardia, che è al quindicesimo posto rispetto alle altre regioni”. La percentuale di Ivg farmacologiche nel 2014 è ferma al 4,5% – era al 3,3 nel 2013 – a fronte del  30,5% della Liguria,  del 27% della Valle d’Aosta, del 23,3% del Piemonte, del 21,8% dell’l’Emilia Romagna e dell’11,7% della Toscana (vedi grafico 2).

Eppure, ricordano i consiglieri del Pd, “anche in questo caso la legge 194 è molto chiara visto che, all’art. 15, indica che ‘Le regioni, d’intesa con le università e con gli enti ospedalieri, promuovono l’aggiornamento del personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sui problemi della procreazione cosciente e responsabile, sui metodi anticoncezionali, sul decorso della gravidanza, sul parto e sull’uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell’integrità fisica e psichica della donna …’”

Il dato lombardo, secondo Valmaggi e Brambilla, risente del fatto che 30 strutture sulle 62 che effettuano interruzioni di gravidanza non utilizzano la RU486. “In molti casi non viene neanche proposto come metodo alternativo a quello chirurgico; inoltre passa troppo tempo tra la certificazione e l’effettiva esecuzione dell’ivg e questo fa scadere i termini temporali (49 giorni) entro i quali è possibile utilizzare il metodo farmacologico. A questo si aggiunge che, per la RU486, viene applicata in maniera ferrea l’indicazione nazionale dei tre giorni di ricovero, a differenza dell’Ivg chirurgica che è eseguita in day hospital. Altre regioni  hanno deciso di dare piena attuazione alla 194, consentendo alle donne che decidono di interrompere la gravidanza di scegliere il metodo  meno invasivo: in Emilia Romagna, per esempio, la RU486 viene usata in day hospital e  in Toscana, dal 2014, è possibile somministrarla anche nei consultori”.

“Alla Regione- sostiene Valmaggi – chiediamo, di applicare le linee guida nazionali in modo più ragionato consentendo, come accade in altre regioni la somministrazione della RU486 in regime di day hospital” .

A rischio il ricorso ai farmaci venduti online. “La minaccia è un ritorno agli aborti clandestini”
A preoccupare Valmaggi e Brambilla sono anche le azioni le donne possono essere spinte a compiere a causa di questa carenza assistenziale. “C’è un nuovo allarme, oggetto di indagine anche  delle Procure: sempre più siti web vendono online farmaci per l’interruzione di gravidanza  rischiosissimi per la salute. La minaccia è quella di tornare al passato,  quando una legge che garantiva le donne non c’era, e per l’aborto clandestino si moriva”, affermano i consiglieri del Pd.

“Il modello lombardo – aggiunge il capogruppo democratico in Regione Enrico Brambilla – è improntato da forti connotazioni ideologiche e finisce per essere più ingiusto e meno efficace. La Lombardia ha una riduzione degli aborti inferiore rispetto a molte altre Regioni nonostante abbia politiche ad hoc come il fondo Nasko su cui però ha messo troppi paletti di accesso alle donne straniere, per preclusione ideologica. Così come non ha aderito al programma del ministero della Salute per la riduzione delle interruzioni di gravidanza rivolto sempre alle donne straniere. È una decisione da rivedere”.

L’articolo su Quotidiano Sanità

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